Carovana della Pace 2006

Report 22 e 23 Gennaio 2006
di Alessandro Francesconi & Luna Sanchini

Ore 3.00
Appena scesi all’aeroporto di Tel Aviv la nostra delegazione è diventata oggetto di una spiacevole attenzione da parte delle forze di sicurezza israeliane che fin dal primo passo mosso sulla terraferma hanno iniziato a seguirci ed a fermare alcuni compagni e compagne, perquisendoli e sottoponendoli ad una assurda pioggia di domande.
Al controllo passaporti l’attenzione si è concentrata su alcuni compagni che avevano già partecipato a carovane in Palestina, che sono stati subissati di domande sul motivo del viaggio, su come e perchè si conoscessero tra di loro e sui minimi dettagli del nostro programma.
Dopo molte bugie e qualche ora di attesa, in preda al sonno e a una difficile digestione del malsano pasto offerto dalla Olympic Airlines, siamo riusciti a imbarcarci su un pulman. Destinazione: Gerusalemme.

Ore 7.00
L’albergo Victoria (spartano ma accogliente) si trova nella Parte est della città, la zona abitata prevalentemente da palestinesi (e quindi visibilmente più povera). Ci distribuiamo nelle stanze, e alle sette del mattino riusciamo a ottenere un letto, dove riposarci per poco più di tre ore prima di rimetterci in cammino per Ramallah.

Ore12.30
Ramallah e Gerusalemme sono molto vicine, ma per spostarci abbiamo subito potuto sperimentare la durezza della vita quotidiana di chi abita nei Territori. Le due città sono divise dal muro che Sharon ha voluto per isolare i palestinesi.
Un serpente di cemento che spezza in due intere esistenze. Per attraversare il muro dobbiamo oltrepassare uno dei tanti check point che costellano i territori. Mostri di cemento, metallo e filo spinato sorvegliati da ragazzi e ragazze giovanissime rinchiuse nelle loro divise. È qui, dentro un gabbiotto
di vetro, che si decide ogni giorno se un lavoratore palestinese potrà passare per vendere la propria merce, se una madre potrà portare suo figlio dal medico, se ancora una volta potrà continuare a vivere questa vita a singhiozzi. Un brandello di vita che abbiamo vissuto dall’esterno, vivendo per poche ore una situazione che per un palestinese si ripete ogni giorno.

Ore 15.00
A Ramallah siamo attesi al CEC, il centro operativo gestito dall’Unione Europea che si occupa dell’ organizzazione e dello smistamento degli osservatori internazionali per le elezioni del 25 Gennaio. Il centro è ospitato da un albergo lussuoso che contrasta (sgradevolmente) con la miseria di Ramallah, ma per una volta non frequentato da ricchi funzionari o affaristi, ma affollato di attivisti e osservatori provenienti da ogni parte del mondo, indaffaratissimi nel prendere appunti e partecipare a incontri per preaparare il lavoro dei prossimi giorni.
Dopo aver diligentemente svolto i nostri impegni al CEC e attinto al Buffet che provvidenzialmente si era materializzato nella Hall, ci dirigiamo verso Ramallah per immergerci nella campagna elettorale palestinese. La città è tappezzata e invasa da manifesti e striscioni, invasa da una folla allegra e disordinata che da vecchie auto e impianti stereo improvvisati grida slogan a favore di ogni lista e candidato. Assistiamo anche a un singolare incontro: una manifestazione elettorale di Al Fatah è attraversata da un corteo di Hamas. Ma il clima di festa non si rompe e la rivalità non si trasforma (almeno in questa occasione) in ostilità. Forse perchè le elezioni sono per tutti un momento per riaffermare la propria identità e il proprio diritto a decidere quale governo dare alla propria terra.
Una visita alla Muqata è d’obbligo, ed è difficile nascondere un moto di emozione di fronte alla bandiera palestinese stesa sulla tomba di Arafat.

Ore 21.00
La serata della della delegazione non è di risposo, per quanto ce ne sarebbe bisogno, e dopo una breve ma intensa riunione ci aspetta il centro di Gerusalemme. Per restare stupiti della bellezza di questi luoghi carichi di storia, e ricolmi di rabbia per l’arroganza dei coloni israeliani che stanno occupando molte delle case della Gerusalemme Vecchia, facendo tutto il possibile per cacciare gli abitanti palestinesi e gettando rifiuti dai piani alti, tanto che ai palestinesi non rimane che munirsi di reti di protezione per non rimanerne ricoperti.

23 Gennaio

ore 7.30
Una situazione ancora più drammatica però è quella che abbiamo potuto incontrare, dopo una breve notte di sonno, a Hebron. E’ l’unica città della Cisgiordania in cui i coloni hanno imposto il proprio insediamento nel pieno centro della città, circondandosi di filo spinato e minacciosi militari armati fino ai denti. Si tratta della colonia più estremista presente in Palestina, e pare intenta a rendere impossibile la vita dei palestinesi, tanto che qui la situzione rende difficile lo stesso svolgimento delle elezioni. Gli stessi spostamenti sono difficili per una persona araba, che non raramente è oggetto di insulti, sputi e lancio di pietre, tanto da rendere necessario un progetto permanente di iterposizione pacifica da parte di attivisti internazionali. Come ci ha ricordato il sindaco della città ricevendoci, e discutendo con noi del processo elettorale e della voglia di pace della popolazione.

Ore 13.00
Hebron non è l’ultima tappa della giornata. Risaliti sul pulman ripartiamo alla volta di Betlemme. E dopo meno di un’ora di viaggio torniamo a incontrare il muro della vergogna che divide la Palestina, e che a Betlemme rappresenta una vergogna ancora più profonda, circondando completamente la città e costringendo i suoi abitanti, la sua storia millenaria, i suoi luoghi sacri in una grande prigione a cielo aperto. Anche qui ce lo ha ricordato il sindaco, che ha rabbiosamente denunciato come la sua città sia diventata una galera, e i suoi concittadini siano sempre più in difficoltà per un muro che impedisce di spostarsi, studiare, conoscersi e vivere dignitosamente. Ma forse ancora più del muro risalta, ma questa volta positivamente, la dignità e la volontà di riscatto del popolo palestinese. Una testimonianza ci è stata regalata dai ragazzi e dalle ragazze del centro culturale italiano e palestinese, che in collaborazione con diverse associazioni del luogo e in Italia portano avanti progetti di scambio culturale e di cooperazione dal basso. Con loro abbiamo avviato un nuovo progetto di media-lab, che sia per loro una finestra sul mondo e aiuti tutti noi a abbattere i muri che i signori della guerra globale disseminano nei notri territori. Abbiamo discusso di altri progetti che si potrebbero avviare: con le compagne e i compagni che hanno dato vita in Italia al progetto librerie, interno quattro, di inviare testi per i corsi di alfabetizzazione e di un cinema mobile che permetta a chi non non ha un cinema da molti anni di poterlo avere.
Siamo a Betlemme e la chiesa della nativita porta i segni dell’assedio che porto’ all’esilio di alcuni militanti della resistenza palestinese.